venerdì 19 settembre 2014

venerdì 21 marzo 2014

Chiesa di San Michele Arcangelo ed ex Convento dei Cappuccini di Bisceglie

Premessa
Dopo il Concilio di Treno, che impose delle riforme relative al clero, alle arti e all’architettura, nacquero nuovi ordini religiosi tra cui quello dei Cappuccini (un ordine religioso francescano) i quali si ispirarono al ritorno e alla vocazione originaria delle Fonti Francescane basate sulla povertà, carità e alla vita semplice, che fu il costante riferimento dei Padri della Riforma cappuccina.
Il periodo controriformista e il secolo XVII per i Cappuccini italiani può essere definito come un periodo storico di grande diffusione e di presenza significativa per la Chiesa e la società dell'Europa cristiana.

Storia e architettura
Nel 1533 Padre Tullio Potenza fondò la Provincia dei Cappuccini di Puglia e della Lucania (Basilicata), ma molti anni più tardi tra la fine del XVI sec e gli inizi del XVII la Provincia dei frati cappucci si sfaldò in tre macro provincie: quella della Lucania, quella della provincia di Otranto e quindi di tutto il Salento e infine quella di Bari dove rientra il Convento dei Cappuccini di Bisceglie.
Fondato nel 1606 dal Padre Generale Silvestro d’Assisi e dal Vescovo di Bisceglie Alessandro Cospi, il convento e la chiesa vennero dedicati a San Michele Arcangelo, Santo molto amato dai francescani.
Il Convento e chiesa dei Cappuccini sorsero agli inizi del XVII sec. a ridosso di una lama, detta Lama di Fondo Noce, in un contesto paesaggistico di straordinaria bellezza, ma la scelta e la collocazione del Convento no fu casuale. Esso sorse su una precedente struttura (ancora oggi non ben studiata e ricercata) detta Cappella di San Clemete, un primitivo luogo di culto dove i primi frati potevano trovare conforto per le loro preghiere, inoltre la Regola della Costituzione dei Cappuccini imponeva di costruire fuori dal centro delle città i propri conventi in modo che i frati potevano vivere in tranquillità, preghiera  e in meditazione senza mai essere troppo “distanti” dalla vita quotidiana e dai bisogni della popolazione in cui risiedevano.
Il primitivo convento sorto accanto al lato destra della chiesa si presentava molto piccolo regolare e compatto con chiostro interno racchiuso da tre ali di fabbricato (composto di piano terra e primo piano) dove trovavano posto al piano superiore le celle dei frati, mentre al piano terra i servizi come la cucina, il refettorio, la dispensa e altro.
Nel corso del seicento il convento subì un primo ampliamento. Nel 1673 la nobile famiglia Milazzi contribuì a proprie spese per far costruire un nuovo corpo di fabbrica a ponente per la nascita di nuove altre celle per i frati i quali senza ombra di dubbio erano aumentati di numero. In questo primo intervento di accrescimento della struttura anche la chiesa probabilmente aveva subito degli adeguamenti spaziali, infatti nel 1677 essa venne riconsacrata dal Vescovo Francesco Antonio Ricci in concomitanza della fine di lavori di ampliamento del convento e del rifacimento di parti delle strutture della chiesa, probabilmente all’inserimento delle cappelle laterale (tre) sul fianco sinistro della chiesa.
Durante questi lavori di ingrandimento del convento, sorse la nuova scala che ancora oggi collega il piano inferiore con il piano superiore del Convento.
Sarà il XVIII secolo che vedrà (come in altri complessi conventuali e monastici della città di Bisceglie) le ulteriori trasformazioni e ampliamenti che interessarono anche la “casa” dei Cappuccini di Bisceglie.
Tra il 1755 e il 1770 fu eretto il nuovo e ultimo braccio rivolto verso sud con la costruzione di nuove celle per i frati che arrivarono fino a 30 unità e la costruzione della loggia da parte del maestro Giulio Gramegna. Anche in questa nuova fase di ristrutturazione e ampliamento alcuni locali cambiarono la loro destinazione d’uso soprattutto i locali al piano terra destinati secondo una perizia del 1870 dell’Architetto Giuseppe Albrizio a stalle, pagliaio, refettorio, cucina, forno, deposito, dispensa per la cucina e altro.
Sempre dalla perizia tecnica del 1870 si scopre dagli Archivi Comunali di Bisceglie che un tempo le strutture di copertura del Convento erano composte da tetti a due falde con capriate lignee coperte da coppi, oggi scomparsi.
La chiesa inizialmente semplice e priva di decorazione, così come prevedeva la regola dei cappuccini, si arricchì a partire della metà del XVIII secolo di stucchi e decorazioni floreali e successivamente alla fine del settecento anche di colori pastello così come appare oggi dopo i restauri condotti dalla Dott.ssa Maria Luisa De Toma e dalla sua squadra all’interno della chiesa che hanno riportato alla luce non solo decorazioni perdute e coperte da diversi strati, ma anche riapertura di finestre tamponate nel tempo e la scoperta di altari (anch’essi perduti) come quello dell’Addolorata di cui ne rimangono solo tracce.
La chiesa si presenta a navata unica coperta da volte a botte, con tre cappelle laterali a sinistra e tre altari a destra collocati sotto profondi arconi. Essa si conclude con area presbiteriale a parete dritta di poco sopraelevata rispetto all’area destinata ai fedeli, dove trova posto il grande altare maggiore che ne occupa tutta la parete in altezza e larghezza.
La chiesa fu arricchita inoltre di diverse opere d’arte probabilmente attribuite alla scuola e allievi di Nicola La Porta, artista per altro molto attivo in città e presente in altri conventi e monasteri.
Tra tutti spicca la tela dell’altare Maggiore dedicata a San Michele Arcangelo che sconfigge il demonio con accanto San Francesco d’Assisi e San Nicola Vescovo. San Michele Arcangelo emerge da un’aspirale di panno rosso che vibra nell’area (molto simile ai modelli di Corrado Giaquinto) mentre mantiene con la mano destra la spada infuocata e con la sinistra punta l’indice verso l’atro in direzione i un triangolo che rappresenta la Santa Trinità. Accanto alla scena San Francesco d’Assisi che trattiene sul petto la croce mentre sembra discutere della scena con San Nicola Vescovo. L’altare maggiore della chiesa è di legno meccato e decorato; presenta su entrambi i lati le immagini di San Fedele e di San Giuseppe da Leonessa due frati cappuccini sempre presenti negli altari maggiori delle chiese cappuccine. Conclude il tutto l’immagine della Madonna con bambino stretto al proprio fianco collocato nella cimasa e infine il simbolo dei frati cappuccini riportato al suo splendore e luce dai recenti restauri.
Soppresso una prima volta nel 1809 con i francesci, venne definitivamente soppresso nel 1861 con le leggi eversive dello del Regno d‘Italia.
Dal 1867 al 1872 il Comune, divenuto proprietario dell’immobile e dei relativi terreni circostanti l’ex Convento cercherà in diversi dibattiti del Consiglio Comunale dell’epoca di trovare una destinazione d’uso dell’immobile.  Le proposte andavano tra l’idea di adeguare la struttura conventuale a istituto benefico per famiglie di pescatori e contadini che vivevano in condizione igieniche ed economiche disagiate o trasformare il complesso il Scuola Elementare, ma entrambi i progetti furono abbandonati. Intanto nel 1867 il vescovo di Trani chiese al Prefetto di Bari di riaprire al culto almeno la chiesa e di destinarla ai parrocchiani di San Lorenzo Martire di cui la loro chiesa aveva subito un incendio doloso.

Nel 1872 il Comune di Bisceglie istituisce con il Monte Pio di Pietà, l’Ospedale Vittorio Emanuele II trattenendosi la proprietà dell’immobile e le relative spese di ristrutturazione di esso. L’ospedale trovò collocazione negli ambienti al primo piano dell’ex Convento eventualmente per esigenze igienico-sanitarie dell’epoca, mentre anni dopo, tra il 1901 e il 1902 fu istituito l’asilo di mendicità che in seguito si chiamerà Principessa Iolanda. L’asilo di mendicità trovò posto presso i locali a piano terra dell’ex Convento con due padiglioni: quello maschile con 15 medici maschi e quello femminile con 15 medici donne.

Testo di 
Giovanni Di Liddo
Guida Turistica e Accompagnatore Turistico Iscritto all'albo della Provincia di Barletta-Andria-Trani
Laureando in Architettura presso il Politecnico di Bari Facoltà di Architettura

E' VIETATA LA RIPRODUZIONE DI TESTO E IMMAGINI









Edilizia Residenziale Ottocentesca

Premessa
L’espansione extra muros di Bisceglie, al contrario di altre città vicine, ebbe inizio nell’ultimo quarto del XVIII sec. attraverso la nascita di un piccolo “sobborgo dal lato di mezzogiorno”, compreso tra la vecchia strada per Corato (attuale via San Lorenzo) e quella che costeggiava la Lama dei Cappuccini, detta lo Stradone. In esso ritroviamo edifici settecenteschi appartenuti a famiglie nobiliari come Palazzo Gadaleta (1751-53), De Simone (1760), Rana (1763) ecc.
Pochi decenni dopo, agli inizi dell’800, le antiche porte di accesso alla città medievale e rinascimentale, avevano iniziato ad dissolvere la loro funzione, ponendo sia le basi per progetti di un’utilizzazione civile dei vani lunga la muraglia, sia di un progressivo sviluppo edilizio che si estese lungo le arterie divergenti verso il contado. Questo fenomeno nacque in concomitanza all’apertura di una nuova porta, (Porta San Felice 1747, nei pressi della Torre Maestra, oggi scomparsa) tesa a rompere il guscio delle mura. Diversi fattori, quali l’Incremento demografico, l’espansione al di dalle mura, l’economia agricola sulla quale si innestava l’investimento di tipo capitalistico - mercantile, l’ampliamento delle infrastrutture, ed infine i fermenti di crescita civile e culturale generarono, la nascita di nuovi soggetti politici e sociali e l’immagine di una città in progresso. Nel 1819, dei 13.967 abitanti censiti, solo 7.846 risiedono entro le mura, mentre altri affollano aree suburbane in via di edificazione; contemporaneamente 2.440 abitanti abitano in Largo del Palazzuolo. Il resto degli abitanti (17,95% della rimanente popolazione) costituivano la popolazione sparsa.
Nel corso del XIX sec. la popolazione pertanto incrementò di oltre una volta e mezza, segnando un fenomeno di crescita demografica eccezionale: nel 1861 essa era composta da 19:275 ab., nel 1871 da 21.317 ab., nel 1881 da 23.877 ab. e infine nel 1891 da 27.506 ab.
Nel 1871 i confini urbani risultavano già dilatati; in occasione del censimento generale della popolazione, la città venne suddivisa (per motivi organizzativi) in rioni: Città Vecchia, San Lorenzo, Camere del Capitolo, Ginnasio e Misericordia. Dai dati del censimento dei ’71 ed ’81, si rileva anche lo stato della abitazioni. Nel 1881 il patrimonio edilizio era costituito di 2024 fabbricati, raddoppiato rispetto a dieci anni prima; particolarmente diffuso era il tipo di abitazione a più piani, mentre le abitazioni al solo piano terreno si contano poco più di mille, ed infine circa mille alloggi distribuiti su  piani unici  superiori al primo.  Non mancano inoltre soffitte e sottani (generalmente costituiti da un vano unico), dove disagiatamente risiede appena il 2,2% della popolazione; quindi il patrimonio edilizio rilevato nei primi anni della nascita del Regno d’Italia, assegna alla struttura edilizia biscegliese una qualità abitativa di buon livello.

Architettura
Nonostante la qualità di buon livello del patrimonio edilizio dell’epoca, si evidenzia dalle planimetrie del secolo scorso e dalla lettura dall’attuale conformazione urbana della zona centrale della città (ormai satura e modificata drasticamente dall’edilizia degli anni 50, 60 e 70 del 900), la mancanza di una direttiva di piano di espansione (che Bisceglie ha avuto solo per la prima volta nel 1975). Certamente la presenza delle due lame (un tempo motivo di difesa naturale per il Borgo), determinò lo sviluppo della città nell’800 lungo le strade per i centri vicini (Molfetta, Ruvo, Corato e Trani), lasciando tra essi spazi liberi e generando una edificazione poco compatta e non disposta su maglia ortogonale (classico esempio di espansione urbana ottocentesca, riscontrabile in città solo per il Rione Mercante zona stazione ferroviaria - ), che distinse le città pugliesi come Trani, Molfetta, Bari, Polignano a Mare, Monopoli ecc.
La necessità di queste espansioni, determinarono un più complesso approccio, anche culturale, alla problematica urbana. La legge del 1865 n.2359 (sull’espropriazione per pubblica utilità), legge fondamentale per il nuovo Stato, dettò le prime norme italiane di pianificazione “urbanistica”, ovvero  uno  strumento globale di guida e di controllo allo sviluppo delle città. Anche Bisceglie tentò di darsi negli anni ’70 del XIX sec., un piano di espansione, con esiti purtroppo negativi. Nascono, crescono e si generano nuovi rioni: il rione Misericordia, (un agglomerato urbano sviluppatosi rapidamente, già popoloso nel 1865, privo di qualsiasi infrastruttura, impraticabile e pericoloso sia a cavallo che a piedi) esso era ed è costituito da un tessuto urbano strutturato a blocchi allungati di isolati disposti parallelamente con abitazioni composte di piccoli edifici plurifamiliari, composti da sottani, piano terra (in alcuni casi adibito a bottega o ad abitazioni), scala comune e primo piano con due appartamenti concepiti da due vani. Nel 1882 Piazza Umberto I (ex via Benso, oggi Corso Umberto I), venne sistemata definitivamente a mercato, vent’anni prima tra 1860 e il 1865, sorse intanto nell’area intorno alla chiesa di Santa Margherita, un nucleo abitativo, composto da edifici in linea (i così detti “palazzi”), tipici dell’architettura ottocentesca; blocchi compatti di edifici a due piani, con due, tre o quattro alloggi per piano, serviti da una scala comune, simmetrici, con ampie finestre architravate o sormontate da semplici timpani, associate a piccoli terrazzini.
L’architettura edilizia dell’800, ostentava caratteristiche tipologiche, costruttive e formali tipica degli edifici residenziali ottocenteschi: blocchi rettangolari compatti e simmetrici, composti da due o da un unico piano, con atrio interno (detto chiostrina), vano scala comune di servizio per i diversi piani, composti da due, tre o più appartamenti (ideati dai due ai quattro vani), ed infine piano terra adibito a botteghe. Esteticamente i “palazzi” presentano una base costituita da lastre di pietra, una elevazione scandita da ampie e regolari finestre modanate da semplici stipi e architravi (in alcuni casi da timpani triangolari) associati a terrazzini sorretti da reggi mensola e circoscritti da semplici ringhiere. Ogni piano era suddiviso da fasce orizzontali, riconoscibili come marcadavanzale e marcapiano, una superficie intonacata da colori pastello, un cornicione di coronamento conclusivo e modanato, mentre agli angoli degli edifici, fasce verticali di lastre di pietra i “cantonali”, assumevano la funzione di protezione angolare della struttura. Gli alloggi erano costituiti, per motivi igienico/sanitari e funzionali, da vani quadrati e rettangolari (in alcuni casi anche irregolari), ampi e arieggiati coperti da volte a padiglione, a crociera o a botte.
Certamente il trasferimento a privati della porzione dell’antica strada Consolare, determinò il fenomeno di lottizzazione di detto suolo e quindi della costruzione, di un nuovo agglomerato urbano fuori dalle mura; molte imprese dell’epoca come Gangai, Storelli, Bruni ecc., approfittando della situazione costruirono diversi edifici ad uso abitativo, oggi quasi tutti collocati in Piazza Vittorio Emanuele II, tra 1875 e il 1880. In alcuni casi la costruzione di questi edifici, come palazzo Gangai, progettato dall’Arch. Giuseppe Albrizio nel 1875, definì quinte scenografiche, spaziali e urbane di piazze, come Piazza Regina Margherita di Savoia, dove lo stesso edificio insieme al Palazzo della famiglia Campagnola (disposto di fronte) e al “casino di conversazione” eretto nel 1877 a ridosso del Teatro Garibaldi (oggi ingresso del teatro), originarono nuovi spazi pubblici urbani.
Altre congiunture di questo tipo vennero a crearsi in Piazza Mercato, oggi Largo San Francesco d’Assisi, nei pressi della settecentesca chiesa della Madonna di Passavia, dove intensa s’è fatta l’edificazione nelle immediate adiacenze orientali del Palazzuolo, e ancora nella definitiva struttura della zona (di proprietà all’epoca della fam. Berarducci) che gravita intorno alla “Cappella” (chiesa di Sant’Agostino), redatta dall’ing. Luigi Minutillo nel 1877. Lo sviluppo edilizio, continuò quindi a disegnare (una espansione in particolar modo radiale) negli anni ’80 del XIX sec. i quartieri della nuova periferia: tra essi, quello che sorgerà attorno all’asse della via interna per Trani, e su via Molfetta (oggi via Matteo Renato Imbriani), mentre la città si orientava e guadagnava rapidamente le aree suburbane verso la ferrovia: via San Martino (oggi via Alcide De Gasperi), il rione Mercante, unico esempio in città di pianificazione a maglia regolare, dove tra il 1876 e il 1886 sorsero gli edifici della fam. Storelli, Quercia ecc. Infine il risanamento del quartiere di San Lorenzo e i primi progetti per il Rettifilo, costituiscono nel corso dell’800, alcuni significativi episodi.

Testo di 
Giovanni Di Liddo
Guida Turistica e Accompagnatore Turistico Iscritto all'albo della Provincia di Barletta-Andria-Trani
Laureando in Architettura presso il Politecnico di Bari Facoltà di Architettura

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